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Style Magazine Corriere della Sera

Istinto e Visione

Alessandro Maria Ferreri è un ingegnere convertito alla moda dalle camicie di Giovanni Versace per diventare poi un progettista di organizzazione e di network. E per mettere a disposizione del Made in Italy il proprio bagaglio di conoscenze

di Cristina Manfredi foto di Pier Nicola Bruno

CHIFFON E CASCHI BLU. Se pensate che le forze di pace dell’Onu e il tessuti della Haute Couture non abbiano niente in comune è perché non conoscete Alessandro Maria Ferreri. Il nome forse dice poco al grande pubblico, ma nel mondo del lusso è tra quelli noti a tutti: un personaggio chiave del dietro le quinte della moda, della cosmetica, della gioielleria e dell’interior design. Nato a Torino, dove si è laureato in Ingegneria, mentre i compagni di corso mandavano curricula in Fiat, lui puntava lo sguardo sul mondo della moda. E dopo anni di militanza in grandi realtà del settore, nel 2015 ha fondato The Style Gate, una società di consulenza operativa che affianca imprenditori, top manager e direttori creativi nelle scelte più delicate e strategiche, apportando nozioni e informazioni di mercato. Una figura atipica nel panorama italiano, ancora ampiamente caratterizzato da aziende familiari che trasmettono di generazione in generazione il proprio saper fare.

Ferreri è un produttore di organizzazione e di network, uno che mette a disposizione del Made in Italy il proprio bagaglio di how to: far prosperare un’azienda o far stare bene chi ci lavora. Insomma, uno che ha iniziato progettando i campi dei Caschi Blu, mentre indossava camicie di Gianni Versace.

MOLTI MARCHI ITALIANI SONO STATI ACQUISTATI DAGLI STRANIERI PERCHÉ NON HANNO LEGATO L’IMMAGINAZIONE AL SAPER FARE

Come si passa dalle aule del Politecnico alle sfilate delle passerelle?
Unendo due grandi amori, l’ingegneria e la moda. Durante l’università ero riuscita a entrare a New York in uno studio in cui disegnavo gli accampamenti delle forze di pace dell’ONU, ma questo non m’impediva di interessarmi alla moda. Infatti, prima della laurea ho deciso di contattare una griffe e ho inviato una lettera ad Alberto e Massimo Ferretti. Così, ho scritto la tesi su Aeffe e poi sono entrata in azienda dove ho progettato il software, allora pionieristico, per industrializzare i cartamodelli: ci sono rimasta per altri otto anni.

E dopo?
Poi mi hanno chiamata a Parigi da Hermès nel periodo in cui Jean Paul Gaultier disegnava il prêt-à-porter e l’azienda aveva acquisito una quota del suo marchio. Se con i Ferretti avevo imparato come si costruisce un abito, lì ho capito le logiche del retail, il senso di un percorso di vendita fino ad arrivare al cliente finale. A seguire, sono rientrata in Italia per lavorare da Etro, dove ho esplorato gli aspetti legati all’ottimizzazione della produzione e dell’apparato lifestyle, per poi spostarmi in Staff International, nel conglomerato che gestisce i marchi della galassia del gruppo Only the Brave di Renzo Rosso, un percorso che mi ha impostato sugli aspetti di finanza e budgeting. Finché dieci anni fa ho capito che era il momento di mettere tutte queste esperienze a disposizione di molte altre aziende.

Quali sono i punti di forza e di debolezza del Made in Italy oggi?
In Italia ci sono delle mani d’oro, un bagaglio di tecniche e tradizioni spesso custodite in realtà familiari. Questo ci rende unici, non per niente tutta la moda di lusso è prodotta da noi. Abbiamo però una criticità, non siamo fenomenali nel vendere, cosa in cui i francesi al contrario svettano. Nel momento in cui i fondi d’investimento si sono interessati alla moda noi eravamo più inesperti non solo nel vendere, ma anche nello spiegare il senso del nostro business a chi non ne aveva le conoscenze. Se molti marchi italiani sono stati acquisiti dai grandi gruppi stranieri è perché non hanno saputo completare lo loro saper fare con una visione.

Intende dire che, in futuro, l’impresa italiana dovrà concentrarsi meno sul prodotto e più sul concetto?
Il nostro know-how è eccezionale e non ce lo porterà via nessuno. Di certo va migliorata la visione, ma c’è una terza componente, il sentire. Ascoltare l’istinto per poi tradurlo in intuizione sarà sempre più fondamentale per il futuro del Made in Italy. E aggiungere un altro tassello, dedicato anche agli imprenditori maschi: lasciatevi alle spalle certi stereotipi del successo. Si può essere dei leader anche mostrando la propria fragilità.

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